Le interviste in crisi

Intendiamoci: nessun essere umano nasce pronto per essere intervistato.
C'è ovviamente chi ha più attitudine al dialogo, anche in pubblico, e chi invece si trincerebbe dietro ad un plotone di avvocati.
In Austria, dove mia figlia frequenta le scuole medie, la preparazione durante l'anno, la collaborazione e l'essere attivi in classe determinano il 70% della media nel voto finale. E' un accordo che ti fanno firmare a inizio anno, di modo che tu sappia che anche se tutte le verifiche sono state da lode ma il tuo bambino a scuola è un rompiballe asettico e disinteressato, i suoi voti saranno pessimi.
Uomo avvisato, mezzo salvato.
Nella gestione dei casi di crisi vale lo stesso, soprattutto quando si tratta di preparazione. Come dicevo nell'incipit, nessun'essere umano nasce preparato per affrontare giornalisti e blogger alla ricerca di news ma una buona preparazione rende anche la persona più ingessata meno rigida. Tutto sta nella pratica, nella dedizione e nel convincimento.

Ci sono molte fonti a proposito, alcune che toccano aspetti legati alla PNL ( programmazione neuro linguistica) altre che spaziano nei temi del self-motivational approach. Un esperto che seguo da anni e che si rivolge a tutti, utilizzando un linguaggio molto semplice ma al contempo scientifico, è Jonathan Bernstein che ho scoperto attraverso un podcast domenicale di Melissa Agnes, massima esperta in crisis communication negli USA.

In sintesi, ciò che emerge dal suo libro Keeping the Wolves at the Bay, scaricabile gratuitamente dal suo sito, è che una buona preparazione la può affrontare chiunque. E chiunque può trasformarsi in un buon intervistato.
In uno dei suoi punti elenco ( il libro è tutto un punto elenco, grazie al cielo...) evidenzia i criteri per essere un buon portavoce ( e di conseguenza una buona persona da intervistare).
Un buon spokesperson dunque:
1. E' preparato sull'argomento ( non pensate: Ma va?!?!?!?! Perché non sempre assisto a interviste con persone che sanno i dettagli della vicenda o che hanno in mente ciò che devono comunicare)
2. E' maniacalmente focalizzato su ciò che deve comunicare
3. Mantiene un approccio positivo anche sott'attacco
4. E' leale, soprattutto evitando di rendere pubblici dissapori interni
5. Ha fatto molto coaching e prove ( anche a casa, davanti allo specchio)
6. E' portavoce della sua realtà, della sua azienda, non di un messaggio suo personale e questo emerge in ogni parola
7. Comprende quando è il caso di passare parola a chi di dovere
8. Non si pone problemi a dire "Non so, approfondirò e le invierò personalmente una risposta entro oggi."
9. E' un opportunista ma non sta sulle difensive
10. Gli è chiaro che la rabbia genera rabbia
11. E' disponibile
12. Rispetta i media e tutti gli altri gruppi di stakeholders.

In sostanza, un buon samaritano...
Ma in realtà ci sono molti trucchetti che attraverso attività mirate di coaching si possono assimilare e rendere propri. Fondamentale è sempre la prova: provare, provare, provare. Specialmente in casi di crisi i topics da approfondire sono noti e quelli più ostici, su cui punteranno i media, prevedibili. Non possiamo controllare le domande, questo è certo. Possiamo però controllare le risposte. Ed è un punto a nostro favore.

Nella preparazione ci sono molte attività da poter intraprendere ma quella che reputo meno scontata e più incisiva è la preparazione psicologica e motivazionale.
Se partiamo convinti di poter governare la situazione e dialoghiamo con il nostro cervello convincendolo che è così la governeremo senz'altro.
Un aiuto ci viene dalla scienza e ed è spiegato benissimo da Amy Cuddy nel suo Ted Talk Power Poses.  Assumere una posizione di potenza ci carica emotivamente davanti a situazioni stressanti. Emy, assieme al suo team universitario, ha condotto un esperimento che reputo travolgente.
L'ipotesi era: veramente una posizione fisica di potere ( stile Wonder Woman) assunta per due minuti può influire sul nostro valore ormonale e quindi sul nostro atteggiamento?
Ha chiesto dunque a due gruppi di studenti di assumere due tipi di posizioni: i primi posizione di potere ( vi consiglio la visione del video) e l'altra metà una posizione di chiusura del corpo. I dati hanno dimostrato che i valori del cortisolo differivano notevolmente nei due gruppi: nel gruppo che ha assunto posizione di potere, si era abbassato mentre nel gruppo che aveva assunto posizioni di chiusura si era alzato.
E con un livello di cortisolo alto, lo stress, i battiti cardiaci e l'ansia aumentano. Pertanto un intervistatore o una persona sotto esame è più vulnerabile e attaccabile.
In realtà è tutto un gioco di dialogo con il nostro cervello che ancestralmente sta ancora aspettando da noi una comunicazione preventiva: vedendoci assumere una posizione di potere si rassicura e ci mette nella condizione di affrontare le situazioni con meno stress. Dici niente.

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