Dico sul serio: non fatelo!

Da alcuni mesi mi occupo di sostenibilità alimentare, di scelte etiche da parte di chef, ristoratori e produttori che seguono prima di tutto il rispetto per la Terra e poi la conquista del Portafoglio. Bello, si. Buono pure.

Alcuni eventi per i quali lavoro, iniziano ad avere una certa notorietà e io, a mia volta, inizio a leggere e informarmi sulla materia, su ciò che già è stato fatto, su quanto è da farsi. Il 2018, sarà l'anno della Sostenibilità e pertanto molto se ne scrive. Ce ne di ogni, come spesso succede: iniziative serie e lungimiranti e spot markettari per attrarre un consumatore a cui fa figo mangiare etico ma di cibo sostenibile ne sa poco. In una delle recenti interviste rilasciate da Ylenia Tommasato, Sustainability Manager Barilla dichiara: "La sostenibilità non è un vantaggio, ma un “modo di essere”, di fare impresa giorno dopo giorno. Chi la ritiene un vantaggio competitivo momentaneo, la sostituirà presto con qualcos’altro che porti un vantaggio superiore.". Ecco, io partirei da qui. "Un modo di essere" non può essere " una metamorfosi improvvisa", senza cultura, senza concretezza. Si è, ciò che la vita ci ha fatto diventare, ciò che siamo diventati grazie ai passi che abbiamo fatto. Non si è ciò che fa figo. Non si appare diversi di come si è perché poi, credetemi, il palco casca all'istante. E mi arrabbio perché sono stata contattata da alcuni personaggi che vorrebbero utilizzare alcuni circuiti che sto creando per riposizionare la loro stessa posizione. E mi dispiace perché non sanno che così facendo si fanno del male. Non c'è peggior bugia di quella detta per camuffarne altre. Diventa un cane che si morde la coda, su...Lo sanno persino i bambini. O è un ragionamento serio o meglio evitare di utilizzare il buono per sostenere una propria immagine cattiva. Si sa che la bugia ha le gambe corte, con i social la bugia ne è quasi monca. Prevenire non vuol dire scegliere gli investimenti nel sostenibile perché sono di moda o perché comunicativamente spendibili. Ci deve essere un criterio e una correttezza altrimenti non funziona. Questo si ripercuote sia sul lavoro interno che esterno delle società. Paradossalmente, chi è più sostenibile, lo comunica di meno. Chi invece le scelte etiche le fa per parare colpi, tende ad amplificarle notevolmente. Questo dovrebbe già rappresentare, di per sé, un filtro. Purtroppo poi, nel momento in cui le aziende comunicano utilizzando queste leve in maniera così plateale, le aspettative e le attese sono altrettanto alte e a disattenderle ci si mette pochissimo. Il danno diventa più grave man mano che ci si allontana dallo starting point e a volte, a mio malgrado, diventa irrecuperabile.
I progetti veri sono quelli che non hanno il mero scopo finanziario ( anche se, intendiamoci, il vil denaro serve e come e non si dovrebbe chiamarlo vil quando riesce a far del bene).
Vi faccio un esempio: lo chef Roberto Franzin, che vive e lavora in Friuli, ha ideato un progetto sostenibile coinvolgendo un numero di aziende ed artigiani in una filiera produttiva per la produzione della farina e della pasta aggiungendo negli ingredienti scarti alimentari di vario genere che vengono in questo modo nobilitati.
Lo ha fatto per dare un messaggio, lo ha fatto perché ha chiara l'idea della sua cucina ma lo ha fatto soprattutto perché questo progetto diventa un messaggio importante da dare al territorio. Questo, al di là delle vendite o dal break even point, che non dubito un giorno ci sarà.
Lo ha fatto acquisendo una certa notorietà e credibilità in tutti gli ambienti e questo gli permetterà, in futuro, di poter anche sbagliare perché le basi del suo ragionamento erano pulite.
Ecco dove il famoso beneficio del dubbio può essere utile, nel momento in cui  siamo stati in grado di giocare su presupposti reali. Altrimenti, non c'è etica ne sostenibilità che tengano che la fuffa viene nasata prima o poi.



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